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LiberE dal padre

 

Padre nostro che non sei nei cieli,
chiedi scusa a questa terra torturata,
al femminino che, tu stesso hai schiacciato,
infibulato, represso
Padre nostro, dio senza divino,
padre di corpi senza umanità,
confessa che, Gesù, la notte diventava Maddalena
e chi voleva lapidarla ne era follemente innamorato
e con ella voleva lapidare la propria sessualità libera
dalle tue moraliste leggi senza morale.
Padre nostro,
che non sei mio padre,
scendi dal trono e chiedi perdono
per la tua cieca arroganza,
per la tua bulimica fame di potere e successo
Da oggi mi prendo il mio pane quotidiano,
e rimetto a te i miei debiti
come tu li rimettesti a tuttE noi.
E milantando di essere nostro padre
ci schiavizzasti usandoci come capri espiatori
delle tue sadiche, malsane azioni.

 

Perché?…

imageDitemi perché mangiate l’agnello, il maiale, il vitello e inorridireste se vi dicessi che, il cane e il gatto della foto, sono il mio pasto… Perché?
Perche’ alcune associazioni organizzano cene “raccolta fondi” per canili, dove nei piatti abbonda la carne?
E’ come se, io organizzassi una festa “raccolta fondi” per i bambini africani e vendessi, nel corso dell’evento, bambini thailandesi…Che senso assurdo avrebbe? Tutt@ siamo creature che vogliono vivere e fuggono davanti a morte e dolore.
Usciamo dagli schemi culturali, pensiamo con la nostra testa e il nostro cuore: ascoltiamo l’altro. Rispettiamolo, chiunque esso sia.
In foto: Raissa e Strix, due dei miei quattro figli.
loro mi nutrono ogni giorno…d’Amore!

La colomba e la cornacchia

La primavera, lieve e serena, cominciava a danzare sul seme bianco e freddo con cui l’inverno aveva ricoperto la terra.

Ad ogni sua piroetta esso svaniva, scoprendo il ventre nero e molle dell’antica Madre, pronta di già a partorire vita nuova.

Il cielo, limpido come l’occhio d’un neonato, lo si poteva respirare.

Davanti alla piccola parrocchia del paese si era già radunata molta gente.

Chi aveva già cominciato a mangiare le crescente calde, farcite d’ogni salume, che le brave massaie servivano allo stand gastronomico, chi a tracannare bicchieri stracolmi di vino sanguigno, chi a comprare i biglietti della lotteria, indetta dal parroco stesso che, vista la Pasqua in arrivo e visto il fratello, proprietario di un numeroso gregge, aveva pensato bene di dare come primo premio un agnellino.
Davanti alla porta spalancate della chiesa, da cui usciva l’odore pungente dell’incenso e della cera fusa, il vecchio prete ringraziava i fedeli,
radunati ad ascoltarlo, sottolineando che gli introiti di quella festa sarebbero stati usati per la ristrutturazione della statua della Madonnina, usurata dal tempo e dalle tante preghiere a Lei rivolte.

La statua era situata esternamente, sul lato sinistro dell’entrata della chiesa, posta su di un piedistallo di marmo su cui erano incisi, in latino, i primi versi di una preghiera Mariana.
.
Dolcemente austera, mirava quei volti che ben conosceva, ascoltava quelle voci note di cui aveva sentito le preghiere e le suppliche, che di tanto in tanto erano sfociate in bestemmie.
Ma cos’è la bestemmia,se non la preghiera rabbiosa rivolta ad un genitore che non ascolta?
E Lei lo sapeva e con le mani alzate pareva richiamare ogni anima, promettendo amore incondizionato.

In quell’istante, mentre Don Luigi invitava tutti i partecipanti a comprare altri biglietti della lotteria e a gustare senza sensi di colpa le focacce e le torte preparate con amore dalle pie donne, sostenendo-“non si fa peccato di gola a mangiare per una buona causa”- arrivò lei…
…Un tardivo fiocco di neve, la materializzazione d’un pensiero d’amore, e tutti si fermarono rimanendo come statue.
L”aria parve solidificarsi e tutto sembro’ come racchiuso in una sfera di cristallo.

Il vociare degli adulti, le risa dei bambini, la parola d’ogni creatura si ammutolirono davanti all’apparizione della pace.

La colombella frullò tre volte sui volti incantati dei paesani poi andò a posarsi sulla testolina della Vergine.
Fissò quell’ammasso di corpi coi suoi occhietti lucidi e neri, che colpivano il cuore di chi li incrociava, così in contrasto con il candore immacolato di quelle piume.
Come se, chi l’aveva creata, avesse voluto macchiare quel simbolo di purezza con due gocce di peccato, per ricordarci che nessuno è innocente.

“ OH!” -gridarono i bambini

“Guarda che bella!-facevano loro notare i genitori e i nonni- si è posata proprio sul capino della Madonnina. Che carina!”

” Porta bene!” Esclamò’ una bella signora, sputando pezzi di bolo dalla bocca piena.
“Avrà fame” -intervenne una ragazza avvinghiata ad un giovanotto sorridente.
“Si”-annuì una signora, lanciando al suolo un pezzetto di cibo, e tutti la imitarono.
L’animaletto planò delicatamente su quelle offerte, si posò al suolo e incominciò a beccare avidamente.

“Gradisce”- sentenziò una nonna, mostrando un sorriso sdentato.

Allora incominciò il lancio delle offerte, con pezzi di cibo sempre più consistenti, come se si fosse aperta una tacita gara di altruismo.

E la colombina gradiva, eccome.

Camminava tra le gambe delle persone, senza timore.

Dall’alto ramo di un pino, accanto ad un nido di cuoricini implumi che pigolavano, una cornacchia guardava interessata la scena.
Aveva fame e fame avevano i suoi bambini e tutto quel ben di Dio l’allettava e la chiamava con la voce della sopravvivenza.

Trovò il coraggio, sicura che il cibo fosse per chiunque e volò verso la chiesetta.

Arrivò nel bel mezzo della festa, nera come il demonio, con la sua voce stonata e sgraziata.

Si posò al suolo e incominciò a beccare con la fretta della madre che raccoglie il cibo da portare ai propri figli .

Un coro di ” nooo!”, l’accolse.

” Che brutta bestiaccia!”- gridarono alcuni, mentre altri, facendosi il segno della croce sentenziarono:” Annuncia disgrazia!”, ” Porta male! Porta morte!”

Poi, quando la colomba vedendo il nero uccellaccio fuggì impaurita, rifugiandosi sul capo della Madonnina, scattò l’ira “dell’esercito dei giusti”.
Con un coro di indignazioni, incominciarono a scacciare la “maledetta” con urla e calci, prontamente schivati dall’uccello, che con piccoli voli si spostava mesta per ritornare a beccare qualche briciola.

“ Ah, non vuoi proprio capire!”- Sibilò il prete con un ghigno che di compassionevole aveva davvero poco, poi raccolse una grossa pietra da terra e la scagliò contro il nero invasore.

La colpì -“sono un grande cacciatore”- si vantò
“si vede!”- belarono le sue pecorelle

La cornacchia cercò di scappare volando, ma l’ala colpita le doleva e non riuscì a spiccare il volo.
L’arto era rotto, e ciondolava allo stesso modo in cui ciondolano dai muri i manifesti semi staccati, che il vento prima o poi getterà al suolo.

Fu un attimo.

La goffaggine di quell’animale brutto e sofferente risvegliò il sadismo che dorme nel lato più oscuro d’ogni essere umano e per lei iniziò il calvario.

Tutti cercavano pietre da scagliarle addosso, bimbi, vecchi, giovani, genitori. Tutti, nessuno escluso.

Lei gridava il suo tormento per come sapeva e poteva e più il dolore aumentava e più la sua voce diveniva antipatica, stridula, fastidiosa.

Allora cominciarono a mirare la testina, per ammazzarla e farla tacere per sempre.

Alcuni colpi avevano aperto sul suo corpicino profonde ferite che sanguinavano copiosamente.

Si trascinava, cumulo di piume e sangue.
Il suolo fangoso ostacolava il già suo vano tentativo di fuga.

Di tanto in tanto alzava gli occhietti attoniti, in cerca di un perché a tutta quella crudeltà.

Ad un tratto sentì forte e chiaro il richiamo dei suoi piccoli affamati e con il coraggio di cui solo una madre può essere capace si rialzò a fatica sulle due zampette e cercò di fuggire verso il pino su cui era nascosto il nido.
Gracchiava forte, disperata, nessuno capiva che rispondeva ai suoi figli.

L’intolleranza verso di lei crebbe: “Fa male agli orecchi quel brutto uccellaccio. Ora basta!”
Il giovane si liberò dalle braccia della sua fidanzata, raccolse da terra una tavola di legno alla cui estremità fiorivano chiodi lunghi e arrugginiti e incominciò a rincorrere quel grumo di sangue e una volta raggiunto lo colpì ferocemente.

Il suo viso era storpiato dal piacere .

E intanto picchiava, picchiava, sordo ai pianti dell’animale che a poco a poco si affievolirono, fino al colpo di grazia.

Era morta, l’aveva ammazzata.

Aveva raggiunto l’orgasmo più intenso della sua vita.

Aveva tolto la Vita ad una vita.

Quando tornò verso il gruppo lo accolse l’abbraccio profumato di Isabella e l’applauso caldo dei suoi paesani.

Era un eroe.

La colombella, che fino ad allora era stata a guardare la scena, appollaiata al sicuro sulla testa della Signora, scese con la leggerezza di un angelo e ricominciò ad assaggiare un po questo e un po quello.
Intanto, Marta la matta, che si era nascosta dietro al sempreverde per paura che quelle pietre arrivassero anche a lei, com’ era spesso successo, si trascinò goffamente verso quel corpicino straziato.
“Poverina- piangeva la giovane donna, raccogliendo l’animale – poverina, che facevi di male? Io li ho sentiti i tuoi bimbi chiamarti, e ora moriranno anche loro…”

“Guarda, c’è Marta la matta” _cantalinerano i bambini.

Alcuni adulti scossero il capo, impietositi da quella donna goffa, sempre vestita di nero, che parlava con gli animali e gli alberi, sostenendo che questi le rispondessero.

Altri gridarono “ Va via, brutta strega! Dove ci sei tu c’è sfiga!”

Il giovane che aveva ucciso la cornacchia la schernì-” Marta la mattaaaa!! Puzziiii!!”
La sua bella scoppio’ in una sonora risata.

“Marta, va a casa!-intervenne don Luigi, poi continuo’ con espressione pensierosa- Non avrebbero dovuto chiudere i manicomi. Persone come lei dovrebbero vivere là.
Stiamo cercando, il sig.Sindaco ed io- con una mano invitò un uomo grassoccio e basso a raggiungerlo sui gradini della chiesetta- di farla entrare in una struttura idonea. La starà bene e verrà curata. Non girerà’ più’ a zonzo per il paese, disturbando chiunque.
Non si possono prevedere le reazioni di quelle persone. I nostri bimbi vanno tenuti al sicuro.”
E a quella notizia il paese applaudì

Marta singhiozzando si riavvicinò al pino, dai cui rami gli implumi avevano smesso di chiamare la madre, e seppellì la nera cornacchia dal cuore bianco innocenza.

Scavò nel suolo umido, con le dita tozze, una piccola fossa, così che quell’esserino potesse trovare un suo angolo di pace nel ventre della Madre di tutti.

Intanto, saltellando tra una briciola e l’altra, la colombina si era macchiata il petto col sangue della cornacchia.

Infastidita da quel liquido, tornò a posarsi sul capo della Vergine, per pulirsi.
Mentre si puliva qualche goccia di quel sangue misto a fanghiglia cadde sul volto di Maria, scivolò lungo gli occhi cerulei e le rigò le gote: la Madonna piangeva.
I fedeli non si accorsero di nulla.
I fedeli riempivano piatti e bicchieri.
Erano felici che quel brutto, nero uccellaccio non fosse più tra loro.
Non avrebbe più spaventato la colombina.

Erano felici che, di li a poco, avrebbero rinchiuso Marta la matta in una struttura.

I loro bambini sarebbero stati al sicuro.

Don Luigi , un po’ brillo gridava, invitandoli a comprare i biglietti della sua lotteria-
” Uno degli agnellini sarà nel vostro piatto a Pasqua, signori, è un gran primo premio!.Giocate! Giocate! La Madonnina ha bisogno del vostro aiuto. Dio ve ne renderà merito!”
Il pomeriggio ormai lasciava posto alla sera.
L’aria era fredda e nel cielo limpido il sole si era liquefatto inondandolo di sangue.

A Marta la matta, da dietro l’albero dov’era tornata a rifugiarsi, parve che il sangue del cielo si unisse a quello lasciato in terra dalla povera bestiola, così che non riusciva più a distinguere il paradiso dall’inferno.