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Lo sguardo di Medusa

Forco e Ceto diedero alla luce tre sorelle.

Una di esse ero io:

MEDUSA

Sono uscita dal mio inferno per vedere il calore.
Per respirare la luce.

Ho camminato per le vie della città, cercando sguardi di comprensione.

Ho ancora sul mio corpo l’odore nauseante del suo seme misto al mio sangue.
Le echimosi sul cuore e il terrore nella testa, da cui sibila rabbi
a biforcuta.

Non riuscii a difendermi.
Fui punita per questo e giudicata puttana.

Ero una ragazzina davanti a un dio sfrontato e dispotico.

Ancora le genti, alla mia vista, chiudono gli occhi e girano i volti dall’altra parte.

Ho visto donne abbracciare le loro figlie e, mentre premevano quei faccini innocenti al loro petto, gridare “Non guardarla o divverrai pietra. Questo succede alle donne cattive: dio le punisce e diventano mostri”.

Ai bimbi, invece, i padri dicevano fieri ” A donne come quella NOI ⁰ tagliamo la testa”

Cerco un po’ di comprensione

Non pietrifico nessuno

Sono coloro che vedono in me le loro colpe a rimanere di pietra.
Io sono solo uno specchio, attraverso cui possono uccidere le loro perversioni violente.

⁰É più tranquillizzante credere che, le proprie colpe siano causate da mostruose creature , come fossero entità separate dalla psiche, demoni da cui si può essere posseduti e da cui ci si può liberare, attraverso riti sacrificali.

Innocenti anime tentate dal male,
gli umani si sentono responsabili solo delle loro buone azioni.

Eppure dovrebbero ringraziare la sottoscritta, condannata e prescelta pe ricordare loro di essere gli unici responsabili del loro bene e del loro male.
Quando cammino in quel buio nauseabondo, di tanto in tanto mi fermo davanti a una pietra antropomorfa, scolpita attorno a un’anima impaurita dall’incontro con se stessa e le parlo con amore.
Attraverso l’amore la pietra diventa carne.
L’ anima ritorna il primordiale soffio vitale, pronta per essere accolta e partorita da un’altro madre.

Non esistono mostri.
Esiste la mostruosità.

Mi fu detto che sará un giovane uomo a tagliarmi la testa.
Userà uno specchio per non vedere lo
stupratore che vive in lui e potermi uccidere da eroe.

Non opporrò resistenza.
La vita mi ha insegnato che,lottare contro il volere di un uomo non serve, si perde comunque.

Non ci sono sorelle ma sorellastre, madri di figli maschi, o di figlie femmine maschiocolonizzate.

Mentre mi incamminavo per ritornare dentro al mio inferno,sopra di me, nel luminoso cielo, un candido cavallo alato galoppava sulle nubi di latte.
Correva nella direzione opposta, come fosse appena uscito dalla mia sinistra tana .

Lo cavalcava un bel cavaliere con uno scudo scintillante stretto in una mano.
Mi parve di specchiarmi in quello scintillìo.

Forse è lui- ho pensato-che mi porterà la pace e col mio velenoso sangue monderà le colpe degli uomini.

Egli non saprà mai che io ho cercato di avvicinarmi a lui per abbracciarlo forte e che gli ho offerto la mia muta, squallida gola affinché mi uccidesse facilmente.

Mostrerà la mia testa come trofeo- io, la bestia da mostrare a se stesso per confermargli quanto ce l’ha duro.

Guardate Medusa- griderà Perséo- pareva volermi abbracciare. È stato facile decapitarla”.

LiberE dal padre

 

Padre nostro che non sei nei cieli,
chiedi scusa a questa terra torturata,
al femminino che, tu stesso hai schiacciato,
infibulato, represso
Padre nostro, dio senza divino,
padre di corpi senza umanità,
confessa che, Gesù, la notte diventava Maddalena
e chi voleva lapidarla ne era follemente innamorato
e con ella voleva lapidare la propria sessualità libera
dalle tue moraliste leggi senza morale.
Padre nostro,
che non sei mio padre,
scendi dal trono e chiedi perdono
per la tua cieca arroganza,
per la tua bulimica fame di potere e successo
Da oggi mi prendo il mio pane quotidiano,
e rimetto a te i miei debiti
come tu li rimettesti a tuttE noi.
E milantando di essere nostro padre
ci schiavizzasti usandoci come capri espiatori
delle tue sadiche, malsane azioni.

 

Schegge di mio padre

Radice forte
che sa di morte
Tu fosti sangue
e bianco seme
Carne che langue
Cuore che geme
Vento montano
Vecchio castagno
Bacio di Giuda
Radice nuda
nuda d’amore
monca d’un fiore
Piangi dolore
Padre padrone
Rossa emozione
Voce di sparo
Pena del cuore
Terra e terrore
Mio padre amaro

Alibelle. Tra il nulla e qualcosa di piu’

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Era la farfalla più bella.
Ali così non se n’erano mai viste.
Seta morbida, rosa come l’aurora, su cui la notte aveva pianto due lacrime.
Frequentava solo giardini, lei!
Giardini ben curati.
Quelli dove “è vietato calpestare”e “I cani vanno tenuti al guinzaglio”.
Dove il suolo è un tappeto soffice, odoroso e policromatico.
Dove pure a me dispiace entrare, per la paura di spettinare quella miriade di fili fragili e terribilmente splendidi

Era la farfalla più bella e lo sapeva.
Regina perfetta di un regno perfetto.

I fiori la chiamavano con le loro voci vibranti di desiderio:-“Vieni, Alibelle, abbracciami forte e succhia tutto il mio amore…è tutto per te!”
“ No, vieni da me! Io sono più dolce…non te ne pentirai”.

E lei volava felice, senza fretta.
Lei era liberamente di tutti e tutti lo sapevano.
Chiedeva solo cibo e accettazione in cambio di calde attenzioni
Lei era drogata d’amore
Bulimica, non succhiava mai abbastanza nettare

I fiori godevano nel farsi dissanguare da lei tutto l’amore, e dopo non ce n’era per nessun’altra.

E fu così che anche LUI se ne innamorò.

La ammirava nascosto sotto una grande foglia o tra i sassi.
Sospirava ogni volta gli passava accanto, allungando le lunghe zampe verso di lei.

Lei era il suo giovane pensiero di luce, e lui non poteva più farne a meno.
Un giorno decise che l’avrebbe avuta tutta per se.

Per un’ intera notte lo sentii lavorare, sbuffare, ansimare.
Era vecchio e tutto quel lavoro lo affaticava molto.

Poi, alle prime luci del giorno corse a nascondersi sotto la sua grande foglia ed immobile attese…

Alibelle incominciò molto presto il suo frullare amoroso e civettuolo,

Danzava leggera, ed io la sostenevo con le mie dita invisibili, e sentivo il suo cuoricino battere forte.
…Oh, Alibelle, delicata creatura!
Era proprio nella tua forte fragilità la tua disarmante bellezza!

I fiori, quel giorno percepivano qualcosa di inquietante in mezzo a loro e cercavano di metterla in guardia-
“ Alibelle, fai attenzione, c’è qualcosa che non va. Stai lontana da noi, oggi”-
Mentre le altre farfalle bisbigliavano maligne-
“Lasciate che venga tra voi. Noi non verremo al suo posto, non siamo le vostre ruote di scorta!”-
Lasciate che il diavolo se la porti, quella sgualdrina vanesia!”

Ma lei non ascoltava nessuno.

Così Alibelle rimase a svolazzare in cerca di gratificante cibo, in quel rassicurante giardino.

Fino a che non udì quella voce.
Voce buona, profonda, cullava il suo cuoricino ansioso e triste.

Suo padre l’aveva abbracciata forte, per lunghe notti, nel buio della sua stanzetta, accarezzandole il corpicino.

Quanto aveva amato suo padre!
Ed ora ecco apparire di nuovo il richiamo di quell’amore.
Doveva seguirlo.
Doveva volare tra le sue braccia.

E volò verso di esso.

Tra le braccia del suo destino.

Ma il suo destino, quel giorno, aveva braccia vischiose e sottili che la intrappolarono.

“Dove sono finita!-Gridò- Aiuto! Vi prego aiutatemi!”
Piangeva Alibelle e si dibatteva disperata.

Come risposta ebbe solo le risatine delle altre farfalle-
“Ben ti sta, sgualdrina!”-

Seguirono i commenti rassegnati dei fiori
“Era da dire che sarebbe finita male. Non ascoltava nessuno”.
“Se fosse rimasta con me, ora non si troverebbe così…io l’avrei amata davvero…”

Queste furono le conclusioni che rasserenarono e riappacificarono il giardino.

“Ma che fiore sei?..Lasciami, ti prego!- Gridava, mentre cercava di liberarsi da quegli strani petali collosi
-“ E’ un “fiore del male” ti risponderebbe un famoso poeta” -Rispose la bella voce profonda
Il “fiore del male” incominciò a vibrare.
Qualcuno riusciva a camminarvici sopra -Chi sarà’? -pensò Alibelle.

Poi la voce divenne corpo e dalle sue spalle apparve ai suoi occhi e…
“No!… Chi sei?… Cosa vuoi da me? “-Si divincolava disperata e più cercava di liberarsi e più si sentiva prigioniera.

“Sono il ragno nero, signore del giardino…
OH, mia regina, dinnanzi a te mi inchino…”E piegò i lunghi zamponi anteriori e si inchinò per davvero.

Lei singhiozzò-” Vuoi mangiarmi?”

“ No…Oh, no!..Non potrei mai divorare il mio più bel pensiero…sei così luminosa…ali di seta rosa come l’aurora, su cui la notte pianse due lacrime…
…Si dice che La notte si innamorò perdutamente del sole- iniziò a raccontare, con tono sinuoso e paterno, il vecchio ragno- ma esso la sfuggiva.
Lei, allora decise di strapparsi due brandelli dal cuore.
Mentre li strappava piangeva e due di quelle lacrime macchiarono quei rosei frammenti.
Li lasciò nelle mani dell’alba, chiedendole di consegnarli al sole, da parte sua,
perché il sole si ricordasse per sempre di quanto la notte lo amasse.
Ma il sole, schiacciato dal senso di colpa, volle dare vita a quel dono e ne fece due ali, così che l’amore che aveva negato alla notte potesse liberamente volare, senza confini di tempo e di spazio.”

Lei lo ascoltò incantata
“Il mio papa’ mi sussurrava sempre questa commovente storia, mentre mi coccolava,
stringendo forte la mia testolina a sè….il suo nettare era dolcissimo, il più dolce che io abbia mai bevuto!”

“ Alibelle, piccola mia- sussurrò l’aracnide, avvicinandosi lentamente a lei-bella, bella creatura-
e con brutale dolcezza l’abbracciò.

“ Lasciami, mostro!- Gridò la poverina, cercando di liberarsi da quella morsa pelosa.

Ma più la stringeva e più lei indeboliva l’opposizione.
Lo sentiva fremere dalla voglia di averla.
Sentiva che la desiderava più della vita stessa.
Questa consapevolezza la inebriava.
Si sentiva amata.
E il sentirsi amata spegneva in lei il vuoto che le bruciava l’anima.
Allora si lasciò domare, piccola ribelle in cerca di un padrone.

La sua bocca scivolò piano, seguendo una pulsione naturale, e ad un tratto il grosso ragno, ritto sulle zampe posteriori, lanciò un gemito di piacere.

Li ricordo così.
Due figure di un quadro angosciante: La bella, giovanissima farfalla mentre succhia l’amore del vecchio ragno nero.
Entrambi scossi da ritmici movimenti, come in una sensuale, macabra danza, ballata sulla ragnatela della vita.

E si amarono per lungo tempo.
All’ombra del giorno, alla luce della notte.

Poi…

“Lasciami- sussurrò Alibelle, spossata- Ora basta, ti prego…io devo andare…devo nutrirmi, devo volare. La mia vita è tra il cielo e la terra.
Liberami, amore mio, ti prego, liberami!”

“Liberarti!?…Oh, no! Se ti liberassi voleresti via da me ed io come farei?”

“Se mi ami liberami da questi fili che mi tengono prigioniera! Tornero’da te, te lo prometto!”

“No, lo dici affinché io ti liberi così tu potrai scappare, ma io non ci casco!…”
“ Io…io t’amo, t’amo, così ho amato solo mio padre! Non scapperò da te!…
…E tu, m’ami?”

“Oh, si, certo che t’amo!… Sei la mia vita !Non posso rischiare di perderti, capisci?”

“ E se m’ami davvero capisci che morirò senza cibo, ne cielo, ne terra, e ugualmente mi perderai?”

Il vecchio oscuro ci pensò un attimo e decise.

“Va bene, se devo lasciarti libera affinché’ tu viva, lo farò, ma ad una condizione…ti strapperò le ali…”
“No!-Gridò sbarrando gli occhioni verdi- Lascia che io muoia, allora!…Non farmi questo, se m’ami, non farmi questo!”
“ Non capisci, è proprio perché t’amo che lo faccio…Non credere che io non soffra quanto te, di questa decisione. E’ come se strappassi carne dal mio corpo, credimi, ma è per il tuo bene.
Se starai vicino a me sarai protetta dalle brutture della vita, io sarò la tua unica gioia!.”

Scuoteva la testina, gridava, con la voce rotta dai singhiozzi
“NO!NO!NO!!!”
Ma il suo nero amante le si avvicinò e con le forti mandibole le strappò prima un’ala e poi l’altra.
Alibelle svenne.
Un liquido bruno sgorgò copioso dal suo corpicino, ormai ridotto uno scheletro.
Si ridestò poco dopo, svegliata da un tormento profondo.
Riapri’ gli occhioni e cerco’ di capire cosa stesse accadendo e vide il suo amore con una delle grosse zampe frugare dentro a uno dei profondi squarci, ai lati del suo corpicino, per attingere il sangue con cui si affrettava a scrivere, su una delle ali che le aveva strappato.

“Sto scrivendo una poesia, è dedicata a te.
E’ il tuo ritratto disegnato con le parole…dopotutto io sono un poeta, non un pittore.
Ti ho liberato i piedini dai fili della mia ragnatela. Ora puoi camminare.
Vai verso i fiori, nutriti, passeggia, ma ricorda: sulla terra io posso raggiungerti ovunque, quindi torna prima di sera o ti verrò a prendere e ti strapperò anche le zampe!”

Alibelle fissava il vuoto, non aveva neanche più la forza di piangere.
Le antennine piegate ai lati della testolina.
Rivedeva suo padre, il buio di quella stanzetta- “ Il lettino è troppo piccolo per me, vieni qui, su questo panno, staremo più comodi”-
E lei gli si avvicinava timidamente, piena d’amore e di fiducia

E i loro amplessi, quel nettare dolce, dolce e poi i ricatti -“Non dire nulla di quello che facciamo qui dentro! E’ un nostro segreto!
Altrimenti giuro che ti stacco le ali e poi ti abbandono!
E se sarò costretto a fare questo, anch’io morirò, perche tu sei la mia vita, Alibelle”.

E lei non aveva mai detto nulla, neanche quando il babbo era morto.
Non voleva perdere suo padre.

Ora capiva.

Sussurrò – “Non mi muoverò da qui, morirò di fame…”

“ No!…Tu sei la mia vita!”

“ Se sono la tua vita, voglio morire.”

 

 

Le si avvicinò, con l’enorme bocca spalancata, schiacciò quel corpicino col suo vecchio corpo pesante e solo allora Alibelle capì:
La stava mangiando.
-Finalmente- gemette- tu sei l’ultimo che mi divora .
Il mio strazio e’ finito!-

Sentì il suo amante succhiarle avidamente il cuore, i polmoni, tutto ciò che le apparteneva, che era parte di lei..come prima di lui aveva fatto suo padre.

Poi, il ragno nero, sazio se ne tornò a nascondersi sotto la grande foglia, in attesa di qualche altra bella, giovane farfalla, assetata d’amore.

Ed io che avevo visto tutto, non potei trattenermi nel gridare il mio dolore.
E quando grido io la  terra e il cielo gridano con me.
Raccolsi il corpicino svuotato di Alibelle e le sue alucce e la portai via da li.
E’ tutt’ora tra le mie braccia, non ho cuore di lasciarla al suolo, in balìa delle voraci formiche..

Su una delle sue ali il ragno ne scrisse il ritratto
“Sei un’anima di carne,
con una lacrima di sorriso sul cuore.
Strisci volando in un cielo d’inchiostro
alla ricerca della terra dell’oblio.
Eternamente sospesa
tra il nulla e qualcosa di più”.

Solo due persone erano riuscite a leggere l’anima sanguinante di Alibelle: suo padre e il ragno nero.

BulimicaMente tossica

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Che ne sapete dei miei profondi vuoti
Dei miei inferni, le mie desolazioni
Di una famiglia di scarafaggi e topi
Di miseria e violente punizioni.

Ho provato a ingoiar tutto l’amore
che cerco’ quella bimba maledetta,
ma la colpa mi distrugge ed il mio cuore
lo risucchia e di colpo lo rigetta.

Madre dimmi, ti delusero poi tanto
quelle carni di fragili bambine?
Meduse dal fastidioso pianto
Portatrici di colpevoli vagine.

Padre, tu senza eredi maschi,
la tua pena io ricordo ancora
Mai un giorno ci fu che soffocasti
il tuo odio dentro la tua gola.

Ed il cibo divien l’unico amore
con cui voi nutriste questo corpo
Mi assopisce un attimo il dolore
e per un attimo sparisce ogni ricordo

Non ho tregua, ne pace. E’ una tortura
Da sempre mi amo e mi tradisco
Mangio e vomito, mistica lordura
e ogni volta rinasco e mi abortisco.

Autoritratto: l’urlo muto

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Mi posero, una sera, sul balcone
col lungo gambo e il bel bocciolo esposto,
all’afa che sputava il sol leone
di un giorno di un infernale agosto
Figlia della terra e del concime
giocavo con la vespa e la falena,
Illusa di una gioia senza fine
vibravo con l’energia, serena.

Nel mio fiore un cuore di cristallo
Le radici fragili piedini
e quel vaso come piedistallo
che imponeva limiti e confini

Poi un di fui dimenticata
Ebbi sete e gridai il dolore.
La mia voce, voce inascoltata
di chi parla senza usar parole

Fu la morte, meravigliosa madre,
a seccare, con la mano ossuta
le giovani mie radici magre
assetate da mano conosciuta.

Mia e’ la storia di chi soffre muto
Di chi al mondo viene e nessuno vuole
Di chi vuole vivere e invano cerca aiuto
E implora, chiama, senza usar parole…